Pensieri su… “La vera storia di Babbo Natale”

  

Chi è il protagonista del Natale? E chi dovrebbe esserlo? Babbo Natale è ovunque ma il Natale non è la sua festa.

Ce l’avevo da tanto tempo tra i libri da leggere e finalmente quest’anno sono riuscita a leggerlo. Si tratta di “La vera storia di Babbo Natale” (Raffaello Cortina Editore 2011) di Alfio e Michele Maggiolini, due fratelli. Infatti nel libro si trovano anche loro ricordi personali. Forse raccontati in maniera un po’ troppo diretta, parlando l’uno dell’altro. Avrebbero potuto scrivere il ricordo in maniera più formale. Bella la prima parte del libro, in cui si parla dell’origine della festa del Natale e della figura di Babbo Natale; un po’ ridondante e ripetitiva la seconda, in cui ci si interroga sul credere o non a Babbo Natale. Ci sono troppe domande dirette. Il libro è, nel complesso, scorrevole.

Si parte da lontano, da quando il 21 dicembre era la festa del Sole, il Solstizio d’Inverno. Il fatto che il Natale odierno cada il 25 dicembre sarebbe un “accidente storico, dovuto al modo in cui, nel corso dei secoli, sono stati stabiliti e modificati i calendari”. Nel 46 a.C. Giulio Cesare, nella qualità di pontefice massimo, avrebbe dichiarato il 25 dicembre come giorno più breve dell’anno, secondo le valutazioni di un astronomo greco per il calendario giuliano. “Nel IV secolo d.C., una revisione del calendario da parte della Chiesa stabilì l’equinozio d’inverno il 21 dicembre, dissociandolo così dalla festa del Natale”. Forse c’è stato un errore, perché si tratta di solstizio d’inverno e non di equinozio.
A Roma si celebravano i Saturnali, che terminavano il 25 dicembre, e avevano due protagonisti: il dio Saturno e l’eroe solare Mitra. E già ci si scambiavano doni e si addobbava la casa. Ma era una festa degli eccessi e della trasgressione, oggi associati al Capodanno o al Carnevale. “In realtà, la Chiesa ha iniziato a celebrare la nascita di Gesù Cristo solo a partire dal IV secolo, tra il 325 e il 354, dopo il Concilio di Nicea (325) convocato e presieduto da Costantino I”. E poi: “La Chiesa propose espressamente il 25 dicembre come festa della nascita di Cristo in sostituzione del Dies natalis Solis invicti, intorno al 350”. Ma solo da metà Ottocento il Natale sarà la festa più importante dell’anno. Ed è nel 1843 che viene pubblicato il “Canto di Natale” di Charles Dickens. Poi arriva il Novecento con il cinema e numerose versioni del “Canto di Natale”. Nel libro si menzionano il film del 1946 “La vita è meravigliosa” di Frank Capra e “Miracolo nella 34° strada” del 1947, diretto da George Seaton, e la più recente versione del 1994 diretta da Les Mayfield, in cui Kris Kringle viene riconosciuto come Babbo Natale e il Natale viene associato al consumismo, inteso come acquisti per gli altri. E Babbo Natale guadagna terreno, anno dopo anno.

Qual è l’origine di Babbo Natale? L’America. Nel 1882 il pastore luterano Clement Clark Moore scrisse un racconto breve in versi dal titolo “A Visit from Saint Nicholas”, conosciuto anche come “The Night before Christmas”, come recita il primo verso. Era una storia scritta per la famiglia ma un amico del reverendo pubblicò il racconto sul “Sentinel” della città di Troy, nello stato di New York. Il successo fu immediato quanto inaspettato.
Per scrivere questo racconto, il reverendo Moore si era ispirato alla leggenda sull’origine di New York, scritta da Washington Irving nel libro “Knickerbocker’s History of New York” del 1812. Lo stesso Irving si era ispirato a una satira del 1809 da Dietrich Knickerbocker: “A History of New York”. Una nave con San Nicola, protettore dei marinai, sulla polena, si arenò sulle coste americane dopo una tempesta. Una notte a un marinaio apparve in sogno San Nicola. Il santo gli fece una promessa: se avessero fondato lì una città, lui in cambio ogni anno avrebbe portato doni ai bambini su un carro, scendendo per i camini. La città era New Amsterdam, poi New York.
Le illustrazioni contribuirono a costruire l’immagine di Babbo Natale. Il primo a occuparsene fu Thomas Nast, nel 1863, che lo raffigurò su un campo di battaglia. “Il grande salto avvenne, tuttavia, con l’associazione tra Santa Claus e la Coca-Cola (…). Nel 1931 la campagna pubblicitaria fu affidata al grafico Haddon Sundblom”. Ed è questo il Babbo Natale che conosciamo. Ma non è certo che sia stata la versione di Sundblom la prima in cui Babbo Natale appariva in bianco e rosso.

Diversa è la figura dell’inglese Father Christmas, personificazione del Natale prima di Santa Claus. “La sua prima apparizione è del 1435, in un carol attribuito a un rettore inglese. Nella letteratura del Settecento e dell’Ottocento compare come personificazione della stagione, senza abiti particolari, normalmente con una lunga barba bianca o grigia, spesso con la testa coronata di figlie e un bastone”. Era un buontempone amante della festa che non portava doni ai bambini. Poi Father Christmas si è trasformato in Babbo Natale.

La seconda parte del libro contiene, secondo me, delle affermazioni azzardate. Ad esempio, si paragonano alcune presunte foto di fate, poi dichiarate false, con l’apparizione della Madonna di Fatima, che non fu fotografata. Un paragone che non ha minimamente senso. E di seguito: “Ci sono adulti che credono ai fantasmi, ai miracoli o all’oroscopo, ma nessuno crede a Babbo Natale”. Mi chiedo come si possa fare di tutta l’erba un fascio in questo modo!

E ancora: “La perdita della credenza non è istantanea, ma occupa un periodo di transizione in cui può essere parzialmente mantenuta in vari modi: “Io non ci credo più a Babbo Natale, adesso credo a Gesù Bambino”. A volte sembra sfumare – “Ci credo a Babbo Natale e a Gesù, ma poco” -, come se credere/non credere non fosse una semplice alternativa, ma potessero esserci vari gradi di credenza”. Capiamoci: un conto è credere o non credere che siano Babbo Natale o Gesù Bambino a portare i doni, altra cosa è credere in Babbo Natale o in Gesù!

Di nuovo si fa confusione parlando del film “Miracolo nella 34° strada” del 1994. Kris Kringle dice di essere Babbo Natale e finisce sotto processo. Sta per perdere la causa, lui non può definirsi Babbo Natale, finché una bambina porta al giudice una banconota da un dollaro su cui c’è scritto “In God we trust”. E così il giudice afferma: “Ora, se il governo degli Stati Uniti può stampare la propria valuta riportando una dichiarazione di fede in Dio senza domandare una prova concreta dell’esistenza o non esistenza di un essere più grande di noi, allora lo Stato di New York, dopo una simile dimostrazione della fede collettiva del suo popolo, può accettare il fatto che Babbo Natale esiste, ed esiste nella persona di Kris Kringle! Il caso è chiuso!”. Premettiamo che questo film è bellissimo ma in questo passaggio si è superato il limite. Siamo al Vello d’Oro: credo in quello che voglio e allora esiste! La fede in Dio è un’altra cosa, non è certo come credere in Babbo Natale!

Di nuovo non concordo con una conclusione presente in questo libro: “A differenza dei riti di passaggio, la religione è ampiamente presente nel mondo moderno, a dispetto di ogni progresso scientifico e tecnologico, nonché delle trasformazioni subite dalla coscienza individuale, da Oriente a Occidente. In teoria, questo successo sembra la migliore dimostrazione della diffusione delle credenze, di un modo di pensare non sottoposto alla verifica della ragione, e sembra smentire ogni progresso illuministico della ragione”. Cioè, la fede finisce dove esiste la tecnologia? Allora vogliamo fare finta che Gesù non sia mai esistito e non abbia detto niente! In questo libro non si pone l’accento su un fatto, mai: il nostro calendario, da 2015 anni a questa parte, è interamente basato sulla nascita di Gesù. O vogliamo ancora fare finta di niente?

Di pessimo gusto il paragone tra Babbo Natale e Benedetto XVI, “che indossa il camauro, il tradizionale berretto invernale in velluto rosso bordato di ermellino”.

Leggo ancora: “Babbo Natale ci appare come perfetto rappresentante immaginario di una fede, seppure per bambini, che non ha bisogno di religione”. Di nuovo, non sono d’accordo. Babbo Natale non è una fede per bambini ma un personaggio immaginario, un po’ come un amico immaginario, che crescendo se ne va. Tutto qui. Non è affatto una fede.

Vengono poi citati due film: “Habemus Papam” di Nanni Moretti (2011), in cui si parla di un papa affetto da una crisi di panico, e “Il discorso del re” di Tom Hooper (2010), che racconta della balbuzie di Giorgio IV. “Entrambi sono spaventati dall’assunzione del ruolo. Non hanno difficoltà a credere, ma hanno il terrore di essere creduti e di “credersi”, pensando che il Verbo possa essersi incarnato in loro”. Ho capito bene? Ci sarebbe la possibilità di un papa che ha difficoltà a credere a se stesso, quindi a quello che dice?

Sono d’accordo invece quando dice: “In realtà, non è chiaro perché dovremmo avere bisogno di figure di fantasia, affermandone contemporaneamente l’esistenza reale, per spiegare ai nostri figli il valore dell’altruismo o la bellezza del dono. Non ci sono nemmeno prove, almeno finora, che i bambini che credono a Babbo Natale siano più buoni e generosi di quelli che non ci credono, né che la perdita della credenza li metta in qualche modo a rischio di perdere anche la fede nei valori da lui rappresentati. Sembra svanito, inoltre, nel mondo attuale, l’obiettivo di usare la promessa di un dono per mantenere i bambini obbedienti; d’altra parte, la fede in Babbo Natale non aiuta i bambini neppure ad affrontare pe paure o i disagi quotidiani, perché Babbo Natale non è un protettore al quale ricorrere con la preghiera nei momenti di difficoltà”. Sono d’accordo ma non nell’ultima parte: di nuovo si fa confusione. Cosa c’entra il rivolgersi a Babbo Natale con le preghiere?

Nel primo capitolo si legge del Natale: “Per i Cristiani è un evento religioso, che celebra la nascita di Gesù. Il termine Natale rimanda esplicitamente alla nascita. (…) Per tutti, anche per chi non è cristiano, è una festa che celebra i legami familiari e che, attraverso lo scambio di doni, rinnova i legami sociali. (…) Per qualcuno, infine, è il giorno della solidarietà verso i poveri”.
Proprio avendo letto questo libro, vorrei fare una riflessione. Quando si pensa al Natale, l’elemento non religioso più comune è Babbo Natale, seguito a mio avviso dalle vacanze natalizie. Il Natale è entrato in tutte le case come momento dell’anno in cui si prepara l’albero di Natale e ci si scambiano regali. Credo però che si rischi di perdere il vero significato del Natale. Nel libro si legge che la tradizione dell’albero è ormai radicata mentre meno persone realizzano un presepe in famiglia. Credo che non dovremmo dimenticare l’insegnamento di San Francesco con il primo prese vivente. Perché sì, l’albero è bello, pieno di luci e colori, ma il vero simbolo del Natale è il presepe. A Natale si festeggia la nascita di Gesù. Non il compleanno di Babbo Natale!
Però il Natale è comunque entrato in tutte le case e nessuno può dissociare questo giorno dalla nascita di Gesù. Non solo, è vero che il giorno di Natale va a sostituire nella data una festa pagana ma non credo che allora si parlasse di “Natale” con questo esatto termine. Oggi, sia chi si scambia soltanto regali che chi pensa a un pranzo con i parenti, come chi guarda la tv o fa una donazione ai poveri, è costretto a pensare alla parola “Natale” e quindi del “giorno della nascita” di Gesù. E quindi a riflettere anche solo un momento al profondo significato di questa ricorrenza.

Proprio nell’ultima pagina si legge che il Natale di oggi è il Natale dei consumi, di noi esseri umani che non ci preoccupiamo del fatto che le nostre risorse si stanno esaurendo. Ma piano piano ci stiamo rendendo conto che dobbiamo rispettare la natura e i suoi ritmi “per ritrovare nel sole e nelle altre energie rinnovabili una fonte energetica preziosa”. E qui mi è venuta in mente l’enciclica “Laudato si'” di Papa Francesco.