
“L’arte counseling” (Casa Editrice Astrolabio, 2014) sembrava aspettare me sullo scaffale della libreria. È il primo libro sul counseling che ho letto per intero. Un piccolo scrigno di segreti e spunti per un lavoro da fare anche su noi stessi.
Nel mondo della relazione d’aiuto, siamo spesso abituati a pensare al counselor come a un esperto che applica tecniche per risolvere problemi. Ma non è il counselor a risolvere problemi e questo volume, in meno di 150 pagine, ci spinge a cambiare prospettiva. Questo libro, tanto essenziale quanto profondo, ci ricorda che al centro del processo di crescita c’è l’essere umano.
May, uno dei grandi esponenti della psicologia esistenziale, ci guida dentro la complessità del counseling come atto creativo, come spazio di ascolto autentico, come incontro tra due esseri umani che condividono, per un tratto di strada, un viaggio di consapevolezza. Il counselor non è colui che dà risposte, ma chi sa stare nell’incertezza insieme all’altro, favorendo l’emergere di nuove domande.
La forza di questo libro sta proprio nella sua semplicità: poche pagine, ma dense di significato. May riflette sul senso della sofferenza, sull’importanza della libertà e sulla responsabilità individuale. Non cerca scorciatoie, né ricette facili. Invita invece il lettore – che può essere un professionista, uno studente o una persona in cammino – a vedere nella relazione l’elemento trasformativo per eccellenza.
L’arte del counseling non è un manuale tecnico. È una riflessione etica, filosofica e profondamente umana su cosa significhi davvero “esserci” per qualcuno. Ed è forse proprio questo che rende il libro ancora così attuale: ci parla di autenticità, di presenza e del coraggio di accompagnare l’altro senza paura di toccare le sue (e le nostre) fragilità.