Caro Babbo Natale

Caro Babbo Natale,

come stai? Eccomi qui anche quest’anno a chiederti l’ennesimo regalo: un libro. Vediamo cosa ti inventerai stavolta.

Però non ti scrivevo per questo, tanto lo sapevi già che avrei chiesto un libro a Natale. Ho preso tastiera e monitor (non posso dire carta e penna) per chiederti quello che davvero vorrei.


Continua a leggere

Diary of a bookaholic

I must confess: I am a bookaholic. La parola giusta è in lingua inglese: bookaholic. Insomma, sono una drogata di libri. Ho sempre un libro nella borsa (a volte anche due), ne leggo sempre più di uno alla volta (attualmente una decina e, se ve lo state chiedendo, sì, me li ricordo e non li confondo) e compro sempre troppo libri. Ma non è colpa mia, non sono io a trovare i libri, sono loro che trovano me!


Continua a leggere

Fuoco

Il crepitio del fuoco, il calore, la cenere che ti vola addosso. Il fuoco che avanza. L’Italia brucia. Sembra il destino del Monte Acuziano, detto Monte San Martino dalla popolazione locale, a Fara in Sabina, in provincia di Rieti. Una montagna tristemente abituata a bruciare. L’ultima volta il fuoco è partito il 12 agosto scorso ed è andato avanti per tutto il giorno e per tutta la notte, fino al giorno dopo, e nella notte fiaccole rosse ardevano ancora nel buio della montagna. Alberi che dopo precedenti incendi erano finalmente rinati, sono bruciati. Uccelli che scappavano dal fuoco e volavano in alto sugli alberi in fiamme, e chissà quanti altri animali hanno cercato di mettersi in salvo. Il fuoco ha lambito le case. Alcune famiglie sono state fatte evacuare per precauzione. Per fortuna almeno le persone sono rimaste al sicuro e così le loro case. Per fortuna. Perché il fuoco segue i consigli del vento, e il vento non si sa dove va. Incendio doloso, almeno così sembra. Ma perché? Dispetti tra persone che vogliono averla vinta, voglia di essere i primi a chiamare i soccorsi, chissà. La notte dell’incendio ho visto gente arrivare in auto per andare incontro al fuoco, e parcheggiare a qualche centinaio di metri dalle fiamme per assistere allo spettacolo, mentre le loro auto restringevano la carreggiata e creavano solo disturbo ai mezzi di soccorso. Non credo di dover commentare. Chissà se tra i curiosi c’era anche la persona che ha appiccato l’incendio, o se è rimasta chiusa in casa a sperare che almeno non morisse nessun essere umano.

Vorresti che alberi rigogliosi bruciassero? Vorresti che animali innocenti bruciassero? Vorresti che la tua casa bruciasse? Vorresti distruggere un bosco con le fiamme? Vorresti lasciare una famiglia senza casa? Vorresti che delle persone morissero a causa delle fiamme? Chi ha appiccato il fuoco si è posto queste domande? O voleva solo emulare i piromani diventando a sua volta piromane, o voleva soltanto far parlare in televisione di un grande incendio? È mania di protagonismo? È stupidità? È cattiveria? Non so cosa sia. Ma so che la conseguenza è uno scempio.

Il problema non è certo il fuoco. Il fuoco, come l’acqua, la terra e l’aria è uno dei quattro elementi. Noi esseri umani siamo immersi nell’aria, altri esseri viventi nell’acqua. La terra ci sorregge. Il fuoco è un grande mistero. È un elemento che non possiamo toccare, come l’aria, ed è una delle grandi scoperte dell’umanità, come la ruota. Non è il fuoco il problema. Il fuoco è un dono. Il problema siamo noi. Noi esseri umani. Siamo sempre noi a creare danni alla natura e, di conseguenza, a noi stessi. Se volessimo bene a noi stessi, eviteremmo di appiccare il fuoco per motivazioni che non sono motivazioni. Eviteremmo danni a noi stessi, alla nostra vita, perché viviamo anche noi sulla terra. Se volessimo bene a noi stessi, se ognuno comprendesse che il bene di uno è il bene di tutti, se rispettassimo la nostra vita, se ci comportassimo correttamente, allora potremmo volere più bene agli altri allo stesso modo, ed evitare di fare del male a tutti gli esseri viventi, noi compresi. Incendiare una montagna è un atto criminale verso gli altri esseri viventi, umani e non, e anche verso se stessi, perché ci si condanna a compiere un’azione empia, terribile, con le proprie mani. Se gli altri non lo sanno, chi ha compiuto questo gesto lo sa ed è costretto a conviverci ogni giorno, anche se con il resto del mondo deve fare finta di niente. Dovremmo amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi. Il problema è che esiste anche chi non ama se stesso, perché si permette di compiere azioni abominevoli e si autogiustifica. Non dovremmo fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Però qualcuno lo fa e anche con conseguenze gravi. Fa male agli altri e soprattutto a se stesso.

Royalties per il Telefono Rosa

Quasi mille euro, 958 euro per la precisione. È questa la cifra delle royalties devoluta al Telefono Rosa, organizzazione che sostiene le donne vittime di violenza, attraverso il libro “Private. Venti giornaliste nel tempo sospeso”, edito da Funambolo Edizioni. Grazie a Funambolo Edizioni per aver deciso di investire in questo progetto; grazie alle altre 19 giornaliste che hanno dato il loro contributo per la stesura di questo piccolo gioiello che racconta il tempo sospeso del primo lockdown; e grazie a tutte le persone che hanno acquistato e letto il nostro libro.

Maturità


Siamo abituati a ricordare il nostro esame di maturità, quello vissuto in genere da ragazzi, da studenti, insieme agli amici dell’epoca, quelli che a volte si trasformano negli amici di una vita. Un momento comunque storico nella vita di ognuno.

Ed è strano vivere questa esperienza dall’altra parte della fila di banchi, quelli dietro cui sono seduti i professori, mentre l’esaminando se ne sta lì a guardare gli insegnanti, pieno di tensione e speranza che tutto vada per il verso giusto.

La speranza è sempre quella che i professori non ti facciano la domanda alla quale non sapresti rispondere; e anche che ti chiedano proprio quell’argomento che sai così bene. Già. Ci siamo passati tutti.

Sembra strano trovarsi dall’altra parte, nel ruolo di insegnante, un ruolo da non protagonista, mentre ascolti i colleghi fare domande alle quali non sempre sapresti rispondere. Perché questo non è il tuo esame, non sono le materie che hai studiato tu a scuola, e quelle che hai studiato non te le ricordi più tutte nel dettaglio. I ragazzi, i tuoi ragazzi, invece, devono sapere di cosa si parla. Questo è il loro esame. E poi tocca a te: sei tu a dovergli fare una domanda, alla quale speri sappia rispondere bene. Sei lì a tifare per quello studente, perché ti ricordi cosa si prova ad essere al suo posto. Però non puoi fare altro che guardare e sperare che i maturandi non vengano presi dal panico, che continuino a parlare, che non si blocchino, che restino concentrati. Puoi solo sorridere e fare un in bocca al lupo per il loro esame di maturità. E poi un altro per la vita.

Quello dell’esame di maturità è un addio tra professori e studenti. Raramente si riesce a restare in contatto. È l’ultima volta che ci si incontra prima che loro prendano il volo oltre la scuola dell’obbligo. Niente più scuola, interrogazioni e compiti in classe, ora possono decidere del loro futuro. E a te luccicano gli occhi quando qualcuno di loro ti ringrazia per quello che gli hai insegnato durante l’anno scolastico, per la pazienza, per l’incoraggiamento, per il sorriso. Buona vita.