Giornale che va, giornale che chiude


Oggi Il Punto riguarda una situazione molto seria. Ho saputo da poco che un noto giornale nazionale sarebbe in fallimento. Sono ancora voci di corridoio, nulla di ufficiale. E non posso dirvi di che giornale si tratti, perché non ho fonti certe. Ma credo che questa notizia sia vera almeno all’80 per cento. Mi piange il cuore nel sapere che un quotidiano storico possa dare l’addio alle stampe. Il mondo del giornalismo è in crisi, si sa, ma le cose stanno andando peggio di quanto mi aspettassi. Spero che la notizia che ho avuto sia stata gonfiata o magari sia infondata. Un conto è essere in crisi e fare tagli, l’altro essere in fallimento e rischiare la chiusura. Ma, già da ora, c’è chi della redazione si sta cercando un nuovo lavoro… Paura infondata o lungimiranza? Mi suona familiare la parola “chiudere”, gridata a fine giornata in una redazione per esortare i giornalisti a chiudere le pagine, per mandare il giornale in stampa. Chiudere. Chiudere quella edizione. Chiudere il lavoro per quel giorno. Chiudere: in certi casi purtroppo definitivamente. Ci sono testate che per fortuna ancora ce la fanno e altre che affondano. Giornale che va, giornale che chiude. Staremo a vedere.

Pensieri su… “Lo strano caso dell’orso ucciso nel bosco”

 Un giallo avvincente, intrigante, il ritmo è cadenzato come per una camminata in montagna. Infatti è tra Valdiluce e Valnera che si svolge l’indagine dell’ispettore Marzio Santoni contenuta nel libro “Lo strano caso dell’orso ucciso nel bosco” di Franco Matteucci (Newton Compton Editori). In libreria dal 17 marzo 2016.

Visto che si tratta di una femmina di orso, forse nel titolo si sarebbe dovuto scrivere “dell’orsa uccisa”.

Si poteva evitare l’errore ripetuto “almeno che” invece di “a meno che”. “Tutti avevano con sé” è errato, si dice “tutti avevano con loro”, e anche in seguito vengono confusi “sé” e “loro”. Quelli degli animali non sono “cadaveri” ma “carcasse”. “Ah, saperlo”, invece di “a saperlo”. Qualche errore di battitura.

L’odore delle pagine è ottimo: leggermente pungente, come se racchiudesse una punta di limone.

Di seguito, qualche anticipazione sulla trama.

L’inizio è di una tristezza infinita: un’orsa viene trovata avvelenata in un bosco e a poca distanza sono morti per la stessa causa anche i suoi tre cuccioli. L’ispettore Marzio Santoni, detto Lupo Bianco, indaga.

Incredibile! Gli orsi scrivono! Lasciano messaggi sui tronchi per indicare, ad esempio, pericoli o presenza di cibo. Gli animali non smettono mai di stupirci!

L’ispettore Santoni ha l’abitudine di cenare con un bicchiere di latte caldo insieme a pane, burro e marmellata di mirtilli. A me ha fatto venire fame! E così, nel corso della lettura, ho fatto una merenda ispirata alla cena di Lupo Bianco: tisana al miele, limone e zenzero, accompagnata da fette biscottate spalmate di burro e crema di marroni! Finora solo Dickens e “Lo Hobbit” di Tolkien mi avevano fatto venire fame.

I nomi dei luoghi sembrano quelli di una favola; sono teneri e ispirati all persona che li porta i nomignoli che gli abitanti di Valdiluce si danno tra loro, come il boscaiolo detto “Gnomo” che è vestito come tale. 

La montagna è al centro di tutto: un luogo magico di notte e di giorno, soprattutto con la neve. Panorami mozzafiato, un lupo che compare all’improvviso e un albero gigantesco accanto a una magica fonte che si dice allunghi la vita.

E poi una inaspettata sorpresa: la dottoressa Guardì, una veterinaria, lascia a Lupo per qualche giorno il suo animale… Di che animale si tratta? Non ci penso proprio a rovinarvi la sorpresa! E sarà anche in buona compagnia, visto che di animali particolari ne tiene in casa alcuni anche l’ispettore Santoni. Però la dottoressa lo batte!

Intanto avvengono altre morti. Andando avanti nella lettura, la storia prende il via e il passo diventa più svelto: la curiosità impedisce di lasciare le pagine! Colpi di scena e indizi mi hanno incollata al libro.

Un piccolo universo montano che vive della magia della montagna, dei suoi odori, dei suoi sapori, è la montagna a scandire la vita di tutti… E saranno proprio gli elfi, involontariamente, ad aver scatenato tutto…

Minestrone “free hand”

 

Nuova ricetta del nostro Ratatouille romano, un piatto caldo e invitante per un pranzo leggero!

Per tre persone
Difficoltà media (per il procedimento)

Tempo: tre quarti d’ora

 

INGREDIENTI:

Pane a cubetti

Radicchio

Funghi porcini

Guanciale stagionato

Porro

Sedano

Brodo granulare

Formaggino

Sgombro sott’olio

Vino

Olio EVO

Sale

Seguire le indicazioni della preparazione.

Preparazione:

Tagliare due fette di pane di circa 25 cm, da una pagnotta casereccia, spesse poco più di un centimetro. Tagliandole per il lungo e poi per il largo, formare dei cubetti della dimensione di poco più di un centimetro di lato.

Porre i cubetti soli in un tegame abbastanza largo e alto circa otto centimetri.

Attivare il fornello a medio regime e lasciare abbrustolire i cubetti finché acquistino un colore molto ambrato tendente al marrone, ovviamente senza bruciarli, rimescolandoli periodicamente.

Di un radicchio medio prenderne la metà e tagliarlo a fette sottili per il largo, eliminando il torsolo centrale.

Sfaldare le fettine con le mani ottenendo dei bastoncini frastagliati. Riporli in una ciotola di ceramica (non di metallo).

Se non lo si è ancora fatto, mescolare subito i cubetti di pane…

Nel frattempo tagliare il guanciale a cubetti di mezzo centimetro in quantità di un bicchiere circa. Mettere da parte.

Tagliare tre o quattro girelle di porro spesse un centimetro e tritarle finemente. Mettere da parte.

Un gambo di sedano va diviso in quattro parti per il lungo e ritagliato a cubetti simili al guanciale. Mettere da parte.

Mettere sul fuoco una pentola media quasi colma d’acqua. Quando inizierà il bollo inserire due o tre cucchiaini di brodo granulare e lasciare cuocere per circa dieci minuti.

Quando i cubetti di pane saranno pronti, metterli in una grande ciotola di ceramica.

Inserire nel tegame i cubetti di guanciale. Lasciare rosolare bene.

Togliere il guanciale e amalgamarlo con i cubetti di pane nella ciotola innaffiando con un bicchiere di vino bianco.

Mettere il radicchio nel tegame e lasciare cuocere a basso regime aggiungendo tre prese si sale solamente e coprendo il tegame con un coperchio più piccolo tale da toccare la verdura.

Anche in questo caso il radicchio va rimescolato spesso finché sarà appassito rilasciando la sua acqua di costituzione. Si noterà che il volume del radicchio, apparentemente abbondante, diminuirà drasticamente.

Nel frattempo si potranno scegliere tre funghi porcini relativamente piccoli e pulirli, ovvero prelevarne quattro da una confezione. Tagliarli in modo da averne a pezzettini o a cubetti simili al guanciale. Mettere da parte.

Porre il radicchio appassito nella ciotola insieme ai cubetti di pane. Aggiungere un altro cucchiaio di vino bianco. Aggiungere due presine di sale. Mescolare fino ad amalgamare il tutto e lasciare riposare.

Nella nostra pentola mettere il porro tritato e il sedano. Lasciare cuocere a fuoco medio per dieci minuti coprendo la pentola.

Aggiungere un bicchiere di brodo e inserire i funghi porcini.

Lasciare cuocere per altri dieci minuti.

Aggiungere il formaggino spezzettato sulla superficie del tegame.

Aggiungere mezzo bicchiere di brodo.

Triturare mezza scatolina di sgombro sott’olio e inserirlo nel tegame.

Cuocere finché il formaggino non sarà più distinguibile.

A questo punto aggiungere nel tegame il composto di pane, guanciale e radicchio che erano nella ciotola grande.

Colmare il tegame con il brodo in modo tale che il minestrone non dovrà risultare molto acquoso.

Far cuocere per altri cinque minuti.

Versare il tutto nella ciotola capiente dove avevamo messo i cubetti di pane, il guanciale e il radicchio.

Mescolare delicatamente aggiungendo poco per volta mezzo bicchiere di olio.

Servire ben caldo.

Al Vostro appetito una buona soddisfazione!

 

La bambina

 E così ho scoperto che a un quadro ci si affeziona più che a un disegno o a un ritratto a carboncino… Sarà perché è a colori, sarà perché ci si passa un sacco di tempo, sarà perché un quadro ha così tanti dettagli che alla fine lo conosciamo fino in fondo…

Provo una sensazione simile a quando scrivo un libro. Solo che un libro lo fai conoscere al mondo in tante copie e, una volta superata la “gelosia”, è relativamente facile farlo conoscere al mondo; un quadro invece è copia unica e una foto non sarà mai come averlo lì, e lo conoscerà davvero solo chi ci si troverà davanti e ne saprà apprezzare l'”identità”.
Questo è il mio primo quadro, tempera su tela. Perché non a olio? Perché non avevo i colori a olio ma tante tempere, quindi ho cominciato così. Questo quadro è un pezzetto di me, mostra al mondo la mia parte bambina, quella che tengo sempre dentro e ben presente, quella che sorride e mi spinge a scrivere favole e romanzi per bambini.

Pensieri su… “Un secondo lungo una vita”

 “Un secondo lungo una vita” (Youcanprint 2015), romanzo d’esordio di Lisa Molaro, disponibile sia in cartaceo che in e-book. L’ho letto in formato e-book.

Scorrevole, si legge che è un piacere. Ho fatto fatica a capire dove mi trovassi all’inizio e cosa stesse succedendo. Non viene presentata la protagonista, Beatrice, una giovane donna, ma si entra subito in un racconto in prima persona. Poi lentamente ci si addentra nella storia. (Di seguito farò qualche anticipazione sulla trama). Si conoscono i fantastici nonni della ragazza, poi arriva una terribile notizia che sembrava nell’aria: il suo fidanzato è morto in un incidente stradale. E allora entra in gioco anche la meravigliosa famiglia di Bea. 

Un testo prevalentemente introspettivo, che lascia esprimere alla protagonista tutte le sue impressioni e sensazioni. Pochi i momenti in cui ci sono degli avvenimenti concreti. Tutto si concentra intorno alla protagonista. Ma a parlare non è soltanto lei: in corsivo si esprime in prima persona anche il suo fidanzato, che ormai non c’è più ma la vede e vorrebbe poter interagire con lei, e che offre qualche digressione relativa alla loro storia d’amore e al carattere allegro di Beatrice, prima della tragedia. Alla fine del libro parla brevemente in prima persona anche il fratello della protagonista.

Bellissima la biblioteca che si trova in casa della ragazza, in cui non arriva la luce elettrica e dove si possono al massimo accendere innumerevoli candele.

Aneddoti e ricordi che sembrano reali, e qualcuno, si legge alla fine del libro, è ispirato alla realtà. Qualche errore di battitura.

Lisa Molaro si era offerta di leggere il mio libro “Viola su carta – Saggio sulla scrittura a mano e non solo”, perché come me ama la scrittura a mano. Sono stata molto felice di sapere che il mio libro le sia piaciuto. Anche a me è piaciuto il suo!

Quando i “mi piace” misurano la stima che hai di te

Foto, foto, foto e foto che ritraggono donne e uomini che in ogni modo cercano di essere belli… o, meglio, di dare il meglio davanti alla fotocamera del cellulare. Foto postate su Facebook. E poi l’attesa: “Quanti “mi piace” riceverò? Se sono tanti, mi apprezzano in tanti; se sono pochi, forse devo dimagrire qualche chilo o truccarmi meglio… L’avevo detto che quello non è il mio lato migliore!”. Forse dovremmo renderci conto del fatto che i “mi piace” vengono spesso dettati dall’amicizia, dall’amore, dall’affetto e non solo. Si mette “mi piace”, perché tanti altri lo hanno messo, perché non vogliamo far sembrare che invidiamo qualcuno ignorandolo, perché ci capita per caso quella foto e clicchiamo, perché la foto ritrae un momento importante o magari perché davvero ci piace quella foto. E non si mette mi piace per altrettanti motivi: non ci piace la persona ritratta, lei/lui non mette mai “mi piace” alle nostre foto e quindi non lo facciamo neanche noi, o più semplicemente quella foto non ci piace. Ma la percezione della nostra bellezza, della nostra amicizia con qualcuno, del nostro valore o della stima che abbiamo per noi stessi non può dipendere da questo! Lo sapete quanti falsi mettono “mi piace” e poi parlano continuamente male di noi? E quanta gente vede tutte le foto dei nostri successi ma ci ignora volutamente per pura invidia? O quanti amici davvero non hanno visto la foto di un nostro momento importante? La falsità che regna in Facebook, mondo in cui si può dire “Io non l’avevo visto”, è disarmante; quello stesso regno in cui basta un “mi piace” per dimostrare l’amicizia!

L’infotrattenimento di Barbara D’Urso


Barbara D’Urso non è una giornalista. Questo direi che lo sanno già tutti. È che la polemica ogni tanto torna su. Molti pensano che, non essendo una giornalista, non potrebbe condurre “Domenica Live” o la trasmissione quotidiana “Pomeriggio Cinque”. Polemica sterile? Invidia? O sarebbe meglio se prendesse il tesserino? Anche in questo caso: basta che se ne parli, è tutta pubblicità.

In ogni caso, ho letto su diversi quotidiani on line che il Gip del Tribunale di Monza avrebbe recentemente rigettato e archiviato per infondatezza l’accusa alla D’Urso di “esercizio abusivo della professione giornalistica”, presentata contro di lei dal presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti Enzo Iacopino.

Barbara D’Urso, simpatica o antipatica che possa risultare, incolla allo schermo un vasto pubblico. “Siamo sotto testata giornalistica” ripete spesso a Pomeriggio Cinque la D’Urso, che svolge il ruolo di conduttrice e non di direttore o comunque di giornalista all’interno del programma. Infatti, si avvale della collaborazione di numerosi giornalisti che sul posto raccolgono informazioni e fanno interviste registrate e in diretta.

Il punto a cui vorrei arrivare però è un altro. I giornalisti solitamente si chiamano tra loro per nome e si danno del tu, mentre si rivolgono agli intervistati sempre con il lei. Barbara D’Urso fa esattamente il contrario: è vero che dà del tu ai suoi collaboratori giornalisti ma li chiama sempre per cognome, mentre dà del tu agli intervistati. In pratica, fa esattamente il contrario di quello che fa un giornalista. Secondo me potrebbe essere un modo implicito per dire: “Non sono una giornalista e non voglio sembrarlo, sono una conduttrice”.

Altro punto: nel suo caso si è parlato di “infotainment”, termine che non avevo mai sentito prima e che mette insieme l’informazione e l’intrattenimento. Un altro termine inglese. Ma non potremmo dirlo in italiano? Che so, con un neologismo tipo “infotrattenimento”?