Polpettine con mais


 Il nostro Ratatouille romano stavolta si è proprio superato! Provate questa ricetta semplice e molto gustosa!

Per tre persone

Tempo: 1 ora

Difficoltà: facile

Ingredienti:

Macinato di tacchino​​ gr. 300

Mais in scatola​​​ gr. 300

Un uovo

Fette biscottate integrali​ 5

Paprica​​​​ Due cucchiaini rasi

Prezzemolo​​​ Mezzo cucchiaio

Olio​​​​ q.b.

Sale​​​​ q.b.

Preparazione:

Con un frullatore tritare finemente le fette biscottate integrali e metterle in una ciotola adeguata.

Tritare il macinato di tacchino e metà del mais in scatola con il frullatore ovvero con un omogeneizzatore, aggiungendo il prezzemolo e un cucchiaino di sale.

Con la pasta ottenuta formare delle polpettine non molto grandi.

Imburrare una teglia e porvi le polpettine che andranno in forno a 180°.

Sbattere l’uovo aggiungendo la paprica e un pizzico di sale.

Quando le polpettine avranno raggiunto consistenza estrarle dal forno.

Imburrare di nuovo leggermente la teglia mettendo le polpettine in un vassoio adeguato.

Passare le polpettine nell’uovo, impanarle nel frullato di fette biscottate e rimetterle nella teglia imburrata.

Infornare di nuovo a 180° girandole una sola volta. Far cuocere in modo che risultino morbide e croccanti.

A metà cottura si può versare poco olio sulle polpettine per non farle seccare troppo.

La preparazione è terminata.


A piacere si possono inserire in un ragù di carne bianca da pollaio preparato prima, insaporendole per qualche minuto a fuoco basso.

Per contorno è molto indicata verdura cotta, ovvero patate lessate o in purè. 

Al vostro appetito una buona soddisfazione.

Pensieri su… “La ragazza scomparsa”

“La ragazza scomparsa”, thriller uscito ad agosto 2017, mi è stato inviato per il “Club dei lettori” della Newton Compton. È il nuovo lavoro di Angela Marson e della stessa autrice ho apprezzato “Il gioco del male”. Una lettura scorrevole, avvincente e veloce che a piccoli passi conduce il lettore, indizio dopo indizio, ricerca dopo ricerca, verso la conclusione di un caso. La protagonista è sempre lei: la detective Kim Stone. Stavolta sono scomparse due bambine e altre due erano sparite circa un anno prima: delle due precedenti bambine solo una è tornata a casa. Ma i due casi sono collegati? A indagare è il detective Stone che si muoverà verso la verità affiancata dalla sua squadra. Bellissima l’amicizia tra Kim e Bryant: nonostante sia un suo sottoposto, non ha mai paura di dirle apertamente quando sbaglia. E, da amico, la aiuta anche quando lei non vorrebbe o non crede di averne bisogno. Ci saranno anche altre figure a supportare il lavoro di Kim e cercare di risolvere il caso. E uno di loro, che ha in qualche modo legato con la protagonista, non escluderei che possa ricomparire nel prossimo libro, o almeno ci spero… Chissà…

Un romanzo interessante anche per i vari spunti che offre quando si cerca di fare un identikit dei rapitori. Quanti sono?

Uno dei due rapitori è un ex militare che risente dell’esperienza vissuta in guerra. Per poter affrontare il nemico e non mostrare quella pietà che potrebbe costargli la vita in guerra, gli è stato insegnato a odiare. Ma l’uomo ha rispiegato questo odio nella vita reale, come potrebbe accadere ai soldati quando tornano alla vita di tutti i giorni e gli si dice che quell’odio era sbagliato. Questo concetto è spiegato molto bene a pag. 216 e pag. 217. È una teoria interessante e credo, purtroppo, in alcuni casi vera.

Una domanda: ma perché i giornalisti sono sempre figure negative nei romanzi? Tracy Frost insegue la notizia a ogni costo, anche se questo significa mettere a rischio la vita di due bambine, visto che è stato imposto il silenzio stampa… La giornalista si ferma ma poi minaccia di scrivere comunque il suo articolo. È una figura che all’inizio del libro appare negativa (perché con un articolo avrebbe svelato che un ragazzo appartenente a una gang non era morto e qualcuno è andato a ucciderlo), poi sembra riabilitarsi, ma alla fine insegue sempre la notizia, costi quel che costi. Ma perché i giornalisti vengono sempre visti così male?

Nei ringraziamenti, a pag. 379, l’autrice spiega da dove è partito tutto: dal modo in cui gli eventi possono influenzare il nostro comportamento. Come ci comportiamo davanti a un evento inaspettato e se ci ritroviamo fortemente sotto pressione? Da qui l’idea di cominciare dal più forte istinto di protezione: quello verso i bambini. Una tema delicato per una trama trattata con altrettanta delicatezza e senza lasciare l’amaro in bocca.

“Ci penso io a nasconderti!” disse la solitudine all’invidia

“Invidioso?”
“No, solo!”.

È proprio così: la solitudine porta altra solitudine. Se è vero che piove sempre sul bagnato e che i soldi vanno dove stanno i soldi, è altrettanto vero che la solitudine porta altra solitudine. Anche se il termine usato in questo caso è improprio.

Qui si parla di quella solitudine che significa sentirsi da soli anche in mezzo alla gente, che porta una persona a sentirsi sempre “diversa” e per qualche ragione migliore. Quel tipo di solitudine che significa invidia e odio verso il prossimo, che si finge di amare quando invece lo si colpevolizza delle proprie mancanze. Quella solitudine che porta un soggetto triste e insoddisfatto di sé a isolarsi e fingersi vittima della società, quando invece è finta vittima di se stesso. Insomma, quella solitudine che è più che altro lo stato mentale di qualcuno che si sente superiore agli altri ma non ottiene più di loro e per questo fa l’incompreso, e dice di essere maltrattato. Quella solitudine che serve soltanto a mascherare di ipersensibilità e sofferenza un individuo pronto ad attaccare.

Se una persona è “sola” in questo senso, tende a rinfacciare al mondo intero la propria “solitudine”, la mancanza di attenzioni da parte degli altri, creando intorno a sé terra bruciata. Così avrà anche le “prove” della cattiveria del mondo nei suoi confronti. Ma tanto le attenzioni degli altri non basteranno mai.

La soluzione per uscire da questa cosiddetta “solitudine” potrebbe essere cominciare a guardare il mondo con benevolenza. Ma chi si sente così “solo” lo farebbe mai?

Però c’è anche di peggio. Qualcuno che nasconde la propria invidia dietro a orde di amici: tanti amici, tanta spensieratezza e una felicità perennemente palesata. Sono fintamente detti “amici” tutti coloro che vengono per qualche ragione considerati “inferiori” e l’invidia colpisce apertamente solo chi è per qualche ragione palesemente migliore. Si sfoga così su un’unica persona quell’invidia latente che il soggetto prova quasi senza rendersene conto verso tutti ma reprime costantemente. Si tratta di insospettabili, persone che nascondono dietro alle frequenti risate e alle amicizie ostentate la propria personale insoddisfazione.

Una persona del genere non chiede consigli, ne dà; non si isola ma si butta in mezzo alla gente; non mette sugli altri il peso dell’invidia che porta, si carica dei problemi altrui per fingere di volerli risolvere. Ma il suo castello crolla quando una persona che si dimostra obbiettivamente migliore incrocia il suo cammino: allora sfoga solo su quella tutto il suo odio, scaturito dall’invidia. Un’invidia che velatamente nutre nei confronti di tutti a causa del proprio sentimento di inadeguatezza, della propria insoddisfazione personale. Un’invidia che si riversa su chi palesemente è migliore.

Forse la soluzione in entrambi i casi sarebbe farsi passare l’invidia. Arduo. Forse un colpo di fortuna nella vita di un individuo che rispecchia queste caratteristiche potrebbe trasformarlo in qualcuno che elargisce parole di conforto dall’alto della sua superiorità. Finché non incontrerà qualcuno che ha quello che lui scoprirà improvvisamente di volere.

Siamo tutti opinionisti

Siamo tutti opinionisti. Trasmissioni in tv che ci mostrano gli ultimi opinionisti italiani. Stessa cosa alla radio. E poi c’è internet: siti e blog in cui chiunque può commentare e prendere parte a una discussione. Ma non finisce qui: ci sono i social network.

Tutto fa leva sulla nostra voglia di “esserci” in qualche modo, di dire la nostra ed essere ascoltati da un vasto pubblico di conoscenti e sconosciuti. Sembra sempre che tutti sappiano cosa dire e abbiano una teoria su tutto: politica, etica, cucina, sport. Siamo tutti opinionisti. E a volte ci sentiamo più “vivi” commentando una frase su facebook che chiacchierando di persona. Errore.